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Milano sotto i bombardamenti. Le ferite inferte alla città durante la Seconda Guerra Mondiale

Le bombe nemiche inflissero al tessuto urbano di Milano ferite profondissime. Gli accorgimenti e le precauzioni adottate dai prudenti milanesi per salvaguardare i tesori artistici e i monumenti della città limitarono i danni, ma non evitarono il peggio. Molti furono gli edifici storici irrimediabilmente straziati dai bombardamenti. Tuttavia, nel Dopoguerra Milano rinacque. Unendo tradizione e modernità. Ovvero, con lo spirito di rinnovamento che da sempre la contraddistingue.

Nella foto, in alto: Piazza Vetra, Milano 1943. Sullo sfondo, l’antica Basilica di San Lorenzo

Chi ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale non può dimenticare il suono della sirena che annunciava i bombardamenti. E la corsa giù, negli scantinati, nelle viscere sotterranee della città, nei rifugi antiaerei. Anche in piena notte, con il cuore impazzito.

A Milano un fascicolo del 5 ottobre 1940 registra ben 135 rifugi antiaerei, ma probabilmente furono molti di più. Ancora oggi rimane traccia delle segnalazioni sui muri, quelle grosse frecce che indicavano la via di fuga, la speranza di salvezza. E rimane il celebre “Numero 87”, l’unico rifugio milanese ancora visitabile.

Nella foto, in alto: l’interno di un rifugio antiaereo

Se questi rifugi collettivi, dotati di rinforzi ai soffitti, acqua potabile, servizi igienici e lucernai per la fuga in caso di crolli permisero a molti milanesi di salvarsi, nulla poterono per proteggere gli edifici drammaticamente esposti al fuoco nemico. Durante i bombardamenti, infatti, molte, troppe furono le ferite inferte alla città. Numerosi i monumenti che subirono danni significativi.

Tra questi, il Duomo. Già in vista della Grande Guerra, nonostante non fossero previsti attacchi aerei, la Fabbrica del Duomo aveva con prudenza predisposto la rimozione di oltre 1.500 m2 di vetrate istoriate.

La stessa precauzione fu presa in occasione della Seconda Guerra Mondiale, quando i bombardamenti aerei colpirono in modo devastante Milano e l’intera Lombardia. Oltre alle vetrate, fu messo in salvo il prezioso Tesoro di arredamenti liturgici e la Madonnina fu coperta con un drappo verde, per ridurre al minimo il suo luccichio dorato, che avrebbe attratto l’attenzione dei piloti.

Nonostante questi accorgimenti, il Duomo fu colpito e danneggiato. Soprattutto nel lato nord, dove un gugliotto, un arco rampante e una ventina di falconature furono sgretolati dalle bombe. Danni considerevoli si verificarono anche sulla facciata del lato sud.

Nella foto, in alto: dettaglio di piazza Duomo, Milano 1943

Tuttavia, fu risparmiato dalla completa distruzione. Questo perché con la sua imponenza e la sua altezza, ancora più rilevante all’epoca, quando gli edifici circostanti erano più bassi e ancora non si era aperta la stagione dei grattacieli, fungeva da punto di riferimento per gli alleati. Risultava utile, quasi come fosse un faro, per colpire la città circostante.

Altro simbolo della città ferito dal conflitto mondiale fu la Basilica di Sant’Ambrogio. Come riportato dai registri della basilica, dal 10 giugno 1940, data in cui l’Italia entrò in guerra con l’Inghilterra, si procedette con i lavori di protezione antiaerea al fine di porre in salvo l’altare d’oro di Volvinio, trasferito in Vaticano, il pulpito con il mausoleo di Stilicone, il ciborio e il Tesoro artistico. Anche le funzioni sacre subirono modifiche, in seguito alle numerose restrizioni. Poi, per proteggere il corpo del Patrono e dei Santi Gervaso e Protasio, furono erette forti murature.

Nel 1942, ancora i registri riportano di incursioni aeree che hanno recato enormi danni alla basilica e hanno portato alla morte di molti cittadini. Ci raccontano del terrore costante dei bombardamenti improvvisi e del continuo suonare dell’allarme antiaereo.

Tuttavia, è il 1943 l’anno fatale per la basilica. Il 16 agosto fu mutilata e danneggiata sia da colpi diretti, sia per il crollo di massi di marmo del limitrofo monumento ai caduti. Anche le perdite subite dal patrimonio artistico furono considerevoli. La basilica fu colpita in una fascia proprio alle spalle dell’altare. Andarono in frantumi gli arredi della sacrestia dei monaci con l’affresco di Tiepolo Gloria in cielo di San Bernardo di Chiaravalle. Furono distrutti diversi stalli del coro ligneo con le storie di Sant’Ambrogio e tutta la sacrestia dei canonici, oltre agli armadi settecenteschi scolpiti, ai tessuti liturgici e agli apparati preziosi in essi custoditi. Il portico del Bramante e la palazzina abbaziale furono polverizzati.

Nella foto, in alto: la Basilica di Sant’Ambrogio, Milano 1943

Come i due monumeti simbolo della città, numerosi furono gli edifici spezzati, piagati e straziati dalle bombe. Si ricordano la Basilica di San Lorenzo, il Teatro alla Scala, la Ca’ Granda, l’Archivio di Stato, Santa Maria delle Grazie, Brera, San Vittore. Gli obiettivi delle incursioni aeree, infatti, erano proprio i quartieri più antichi, i suoi centri vitali.

Terminata la Guerra, la città dovette curare le proprie ferite. Iniziarono i lavori di restauro e di ricostruzione. Iniziò, così, una nuova avventura. Una storia di rinascita. Che non vide certo tutti i suoi protagonisti allineati sulle modalità di esecuzione e sui progetti. Da un lato, emerse un’urgenza pratica: numerosissime case erano state spazzate via e molti i milanesi che avevano perduto la propria dimora. Prioritaria, dunque, divenne l’attuazione di un progetto abitativo che ridesse un’abitazione ai cittadini. Dall’altro lato, però, c’era chi evidenziava come, in questo modo, i monumenti storici sarebbero stati messi da parte e ne sollecitava il restauro. Dibattiti che si protrassero fino agli anni Sessanta.

Furono, così, mobilitati i più grandi architetti dell’epoca: De Angelis-Dossati, Renato Bonelli, Ambrogio Annoni. Le dispute si accesero anche in relazione al tipo di intervento da effettuare sui monumeti stessi. Il dilemma era: fare di Milano una città di ruderi o ricostruire? Ricostruire significa falsificare? Come riportare in vita un monumento bombardato senza tradirne l’autenticità? Vinse una scelta di modernità, in continuità con la tradizione.

Emerse, infatti, il concetto di città come organismo vivo e unitario, a cui dare un aspetto uniforme e connotato. Emerse altresì il bisogno di dare un senso di equilibrio tra il conservare e il trasformare. E nacque, così, il volto della Milano che conosciamo oggi. Una città ancorata alla sua storia, ma anche, per sua costituzione, in continua, perenne trasformazione.

Peter Paul Huayta Robles

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