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Il Sumo alle luci della ribalta giapponese

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Il Sumo è un tipo di lotta.  Oggi,  sport nazionale giapponese. La sua derivazione? Cinese e coreana. All’origine,  rito religioso. Poi, si è tramutato in attività militare. Attualmente, disciplina sportiva. Nell’antichità era, finanche, una forma ludica dedicata agli dei. Passata, poi, ai nobili ed, infine, al popolo.  Col tempo, ancora, si cominciarono ad organizzare tornei (Basho) con scadenze organizzate  itineranti  per il Paese del Sol Levante. A che scopo? Individuare i migliori lottatori e accompagnarli nella capitale dove prendevano parte a un festival, chiamato Sechie (programmato nei Giardini Imperiali). Al settimo giorno, del settimo mese di ogni anno. I combattimenti di Sumo, pur conservando ancora un carattere religioso, si associavano ad altre kermesse artistiche ad appannaggio  della cultura nipponica. A prender parte dalla fine del Settecento d.c., il Sechie-Zumo diventò un match annuale tenuto nel giardino di Shishinden, presso la casa imperiale. Non  c’era,  allora, un vero e proprio ring, ma si lottava in un’area senza ostacoli, al cospetto dell’Imperatore. Festeggiamenti, ed altre forme di passatempo ricreativo, si intrecciavano agli incontri. I sumotori venivano divisi  in due parti.

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Pertanto, si battevano in base al loro livello.  Le lotte erano allietate da musiche e balli. Nel Decimo Secolo l’immiserimento globale portò a cancellare tutti i tipi di lusso. E, il Sumo fu inserito tra gli esercizi di allenamento militare. I Samurai, nel evo Edo, riclassificati i ceti sociali, si posizionarono in vetta alla piramide gerarchico-sociale. Seguiti da mercanti, artigiani,  e contadini. Tutto ciò, portò un periodo d’instabilità per i Samurai che persero i loro maestri e padroni (Daimyo). Tolti  i quali, molti guerrieri senza padrone (Ronin) caddero in disgrazia. Quest’ultimi, trovavano nel Sumo, una attività consona ad essi. Onorevole e  di sostentamento. Alcuni Ronin furono così fortunati da essere assunti nelle corti di alcuni Daimyo. Di contro, altri  si vedevano costretti a dar spettacolo per strada. Dando, così, origine al Sumo da strada. Scatenando, a tratti, veri e propri episodi di violenza e guerriglie. Collateralmente, si diffuse un altro tipo di Sumo (Kajin-zumo).

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Nella foto, in alto: acrobazie di sumotori

Le cui celebrazioni aiutavano a radunare denaro per la manutenzione e il mantenimento di templi e santuari. A questo punto il Sumo diventò molto popolare, portando però altri problemi sociali nel mondo degli incontri.  Tale cosa diventò, alquanto, remunerativa. E, gli incassi il più delle volte  finivano nelle mani di Sumotori, senza scrupoli, anziché servire per i suddetti scopi. Le autorità, nel 1648, emanarono un decreto in cui veniva stabilita, in modo molto severo, la pratica del Sumo. Permettendo soltanto qualche match senza donazioni.  A dispetto della neonata legge,  i combattimenti di strada proseguirono. Il che portò alla messa al bando degli incontri a Edo. Mentre a Kyoto e Osaka i tornei procedevano regolari.  Con pochissimi disordini e incidenti cruenti. Il Sumo ritornò a Edo, una ventina di anni dopo. Con l’unione dei Ronin e lottatori professionisti che, grazie ad una petizione, riebbero l’autorizzazione a praticarlo nelle pubbliche piazze. A patto che venissero adottati alcuni  cambiamenti per evitare problemi di belligeranza. Uno di questi, fu l’inserimento di un ring separato dalla gente.

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Nella foto, in alto: un ring da Sumo (Dohyo)

In maniera da tenere divisi i combattimenti dal pubblico. A tutta prima, fu disegnato un cerchio dove la gente doveva starne fuori. Nel 1684, lo Toshiyor o anziano, iniziò a monitorare un gruppo guidato di lottatori professionisti in grado di rendere liberi da violenza i tornei. Col rimpatrio della legalità il Sumo tornò ancora più in auge. I Daimyo ritornarono a sovvenzionare i sumotori, così come facevano prima del veto. I lottatori  assunti da potenti nobili si guadagnarono il titolo di Samurai. Ciò permetteva loro di portare con sé due spade. Solo i lottatori senza padrone  non potevano portare spade, se non per il cerimoniale. Osaka e Kyoto, in particolare, sperimentarono un boom di popolarità per questa lotta. Ampiamente invase dalla moda del sumo, le due città organizzarono due grandi tornei due volte l’anno. Quantità enormi di praticanti del Sumo arrivavano da tutte le parti del Giappone per  prender parte a queste gare. Fu istituita una cerimonia d’ingresso per far conoscere i lottatori al pubblico e per mostrare anche la loro forza,  salute, ricchezza e bellezza dei costumi e delle acconciature. Il tutto dovuto alla generosità del loro dominus.

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Nella foto, in alto: storia del Sumo
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Nella foto, in alto: sempre la storia del Sumo

Ai nostri giorni,  il Sumo è motivo di orgoglio per il mondo giapponese e, grazie alla sua enorme diffusione, viene considerato lo sport nazionale del Giappone. Il combattimento avviene all’interno di una sorta di ring, il dohyo. Formato da un quadrato realizzato in paglia di riso, con un cerchio sovrapposto, ma dotato di un tetto che gli conferisce il regale aspetto di un tempio. Fiocchi di diverso colore (verde, nero, giallo, rosso) rappresentanti le quattro stagioni, sono appesi ai quattro angoli del tetto. E, così pure i quattro angoli del dohyo sono contrassegnati dai colori bianco, rosso, verde, nero. I lottatori (rikishi) sono strutturati in una graduatoria generale, chiamata banzuke, che non li divide in categorie di peso, ma per capacità  e forza.

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Nella foto, in alto: incontro di Sumo con arbitro

In Italia c’è una piccola sezione dedicata al Sumo, all’interno della  Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali (FIJLKAM). Ad oggi, alcune forme di manifestazioni sono organizzate nello spettacolare giardino di Rho. Il Sumo è, senza dubbio, uno dei fiori all’occhiello del Paese del Sol Levante!

Michele Bianchi

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