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Coronavirus e recrudescenza di ebola, bomba a ciel sereno in Congo-K

Speciale by
Cornelia I. Toelgyes

In piena pandemia coronavirus si è risvegliato anche ebola nella Repubblica Democratica del Congo. Due pazienti sono morti di febbre emorragica in questi giorni eppure tutti erano convinti di essersi sbarazzati del temibile virus. I primi di marzo l’ultimo paziente era stato dimesso e l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe dovuto dichiarare il Paese “ebola free” proprio oggi.

Ebola imperversa ancora nel circondario di Beni nella provincia del Nord-Kivu, dove dal 1° agosto 2018 è scoppiata l’epidemia, mentre a Ituri, altra zona toccata dalla mortale malattia, finora non sono stati registrati nuovi casi.

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Il virus dell’ebola, visto al microscopio

Il 9 aprile è deceduto un giovane elettricista di 26 anni, mentre oggi una bimba di solo 11 mesi. Era ricoverata nella stessa clinica dove è stato curato l’altro sfortunato paziente. Ora si cerca di rintracciare i contatti delle due vittime. Finora 215 sono stati identificati e messi sotto osservazione. Sabato mattina un gruppo di giovano ha tirato pietre contro un team di operatori dell’OMS, mentre questi stavano effettuando la decontaminazione dell’abitazione dell’elettricista. Gli addetti alla disinfestazione sono scappati a gambe levate per evitare il peggio. Parte della popolazione ha sempre pensato che ebola fosse un’invenzione del governo, figuriamoci se ora accetta una recrudescenza della patologia.

Il direttore generale di OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus in un suo tweet del 10 aprile scorso ha scritto: “temiamo che potranno verificarsi altri casi di ebola”. Finora sono morte 2.274 persone causa della febbre emorragica.

Nel frattempo anche il coronavirus continua la sua folle corsa nella ex colonia belga. A tutt’oggi sono stati confermati 234 positivi a Covid-19, le vittime sono state 10. Almeno due casi sono stati registrati anche a Beni; si tratta di un uomo e di una donna, tornati nei giorni scorsi dall’estero. Attualmente i due sono stati messi in quarantena.

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Ieri notte miliziani maï maï hanno ucciso due persone a Oicha, nel territorio di Beni. I maï maï sono guerrieri tradizionali,  che si sottopongono a iniziazioni magiche e partecipano a riti esoterici; erano molto attivi negli anni ’90. Sono comparsi per le prime volte nelle guerriglie subito dopo l’indipendenza, nel 1960. Da tempo sono responsabili di molti focolai di rivolta scoppiati in tutto il Kivu. Dovrebbero proteggere la popolazione, ma di fatto quasi mai è così: razziano, rapinano, violentano…

Nella stessa zona sono stati liberati proprio oggi 26 ostaggi, tra questi anche 4 donne e un bambino. Una fonte della società civile del luogo ha fatto sapere che il loro rilascio fa seguito ai violenti combattimenti che si sono svolti due giorni fa a Adakamba tra le forze armate congolesi e miliziani di Allied Democratic Forces (ADF), un’organizzazione islamista ugandese, presente anche nel Congo-K dal 1995.

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Ribelli mai mai nel Congo-K

Non si arrestano nemmeno gli attacchi di altri gruppi armati. Una settimana fa 3 cinesi e un soldato delle forze armate congolesi (FARDC), addetto alla sicurezza degli espatriati, sono stati uccisi da un gruppo di uomini armati nel villaggio di Sumbabho, nell’area di Irumu, nella provincia di Ituri. Durante l’aggressione è stata portata via anche una grande quantità di oro. I cinesi erano impiegati di una società attiva nel settore dell’estradizione aurifera. Nella stessa provincia sono stati ammazzati alte tre persone a una quarantina di chilometri da Bunia, capoluogo di Ituri.

Mentre venerdì mattina 17 residenti del villaggio di Dhalla, Ituri, sono stati brutalmente uccisi da miliziani di CODECO (acronimo per Coopérative pour le développement du Congo). Secondo una fonte locale, le persone sarebbero state sgozzate una dopo l’altra, mentre un militare delle forze armate è rimasto ferito. FARDC ha confermato l’attacco al villaggio, ma ha ridimensionato notevolmente il numero delle vittime, che, secondo il portavoce ufficiale sarebbero “solamente” due.

Per arginare il propagarsi della pandemia Covid-19, dietro il consiglio dell’OMS, il governo ha preso severe misure, come quasi tutti i Paesi del continente. Il comune di Gombe, situato a nord della capitale Kinshasa, ha registrato il più gran numero di contagi; la città, considerata l’epicentro della patologia in Congo, è denominata come “zona rossa” dal 6 aprile scorso per la durata di due settimane.

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A Gombe, cuore diplomatico e finanziario di Kinshasa, risiedono molti commercianti e persone dell’alta società congolese, che possono permettersi costosi viaggi all’estero. Infatti il primo caso di coronavirus è stata proprio una persona arrivata all’aeroproto internazionale di Kinshasa di ritorno dalla Francia.

Qualche giorno fa il ministro della Giustizia, Célestin Tunda ha annunciato che sono stati liberati 1.200 prigionieri della prigione di Malaka, la più grande prigione del Paese, sito a Kinshasa. Lo stringer di Africa ExPress ci ha appena comunicato che finora sono stati rilasciati appena 200, colpevoli di reati minori, come piccoli scippi, ubriachezza molesta, ingiurie e quant’altro.

Nel Congo-K non si muore solamente di ebola, coronavirus, attacchi armati, ci si mette anche la natura, i cambiamenti climatici. Nella provincia di Kwilu, nella parte occidentale della ex colonia belga, venerdì sono morte 4 persone a causa delle piogge torrenziali che si sono abbattute sulla città di Kikwit. Strade allagate, tetti e mura di abitazioni crollati. Tre delle vittime fanno parte dello stesso nucleo familiare, mentre la terza è una donna, madre di tre bambini piccoli. Uno studente universitario ha perso la vita il giorno prima in un comune vicino.

In questo momento di emergenza il Paese non si fa mancare proprio nulla. Mercoledì scorso è stato arrestato Vital Kamerhe, direttore del gabinetto del presidente Félix Antoine Tshilombo Tshisekedi con l’accusa di corruzione, di sottrazione di fondi pubblici, destinati al finanziamento di grandi opere. Kamerhe, ex presidente dell’Assemblea nazionale, grande alleato del presidente, si trova ora nella prigione di Makala, indagato nell’ambito di un’inchiesta anti-corruzione, volta a un rinnovamento della giustizia, che tenta di mettere fine all’impunità dell’élite congolese. E’ la prima volta nella storia della Repubblica Democratica del Congo che un capo di gabinetto del presidente vieni messo agli arresti. Per alcuni osservatori si tratta di un fatto politico di rilevante portata.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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