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Coronavirus. Come ha cambiato la nostra lingua.

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La pandemia da Coronavirus, oltre a influenzare la vita quotidiana delle persone di tutto il mondo, è responsabile anche di importanti cambiamenti a livello linguistico. La lingua, d’altra parte, è un aspetto centrale dell’essere umano, riflette la sua visione del mondo e risente di ogni novità.                        Il Coronavirus ha, quindi, inevitabilmente portato con sé neologismi, slittamenti di significati, tecnicismi e prestiti dall’inglese, tanto che l’edizione del 2021 del Devoto-Oli riporta ben 600 nuovi lemmi legati alla pandemia. Si comincia da “Coronavirus” e “Covid-19”, termini coniati proprio per dare un nome al novello virus, prima ignoto. Ma come non menzionare “lockdown”, che in italiano si è voluto mantenere inalterato, senza fornirne una traduzione? Del resto, “confinamento” o “chiusura totale” non avrebbero la stessa immediatezza, la stessa forza mediatica. La lingua è cosa viva e il termine è entrato da subito in tutti i discorsi, affermandosi con decisione. Anche “recovery fund” si è imposto rapidamente e con vivacità, risultando sicuramente un provvedimento più efficace di quello che sarebbe stato un più banale “fondo per la ripresa”. Altri anglicismi, quali “spillover” e “droplet” non hanno, invece, un uso esclusivo, avendo trovato anche dei loro corrispettivi nella lingua italiana: “salto di specie” e “goccioline”. Così come “smartwork” ha il suo alter ego nel “lavoro agile”… anche se – diciamoci la verità – affermare di “lavorare in smartwork” ci fa sentire decisamente più cool (a proposito di anglicismi!).              Allo stesso modo, usare un “termoscanner” risulta più professionale ed efficace rispetto a usare un semplice “termometro a infrarossi”.                              Notevoli anche neologismi come “autoquarantena” (o “auto-quarantena”), indicante l’atto di porsi autonomamente in isolamento presso il proprio domicilio a scopo preventivo durante un’epidemia. Anche la locuzione “distanziamento sociale” è entrata rapidamente nell’uso comune, per indicare la distanza di sicurezza da mantenere tra individui al fine di rallentare la diffusione del virus.

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Non mancano, poi, interessanti salti semantici, come “tamponare”. Se in tempi antecedenti la pandemia il termine richiamava primariamente l’atto di urtare con il proprio mezzo la parte posteriore del veicolo posto di fronte, ora è sinonimo di “effettuare un tampone”. Ma anche altri vocaboli sono rimasti vittime di slittamenti più o meno significativi. Le “mascherine” non richiamano più alla mente gli allegri accessori carnevaleschi, ma i presidi di sicurezza che dobbiamo usare quotidianamente. I “guanti” non servono più a proteggere le mani dal freddo, ma dal contatto con il virus. Il “gel” non fissa più le acconciature, ma disinfetta mani e superfici. Il “ventilatore” non è più un apparecchio che rinfresca l’aria nelle torride giornate estive, ma un dispositivo medico che salva la vita ai pazienti consevere complicanze polmonari. La condizione di “essere positivi”, poi, è addirittura uno stato paventato e scongiurato con tutti i mezzi!

                  Luana Vizzini

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