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L’arte del “Kiai” … un grido usato in tutto il mondo marziale, anche se di origine nipponica

 

Nella foto, in alto: come cambiano, da individuo ad individuo, i cosiddetti “kiai!”

KIAI !!! Un grido all’estremo. Ma non è una semplice emissione vocale. L’arte del Kiai non ha il suo monopolio nel karate Ma… Le origini? La pratica? Le tecniche? Kiai. L’urlo degli antichi Samurai ha origini molto remote. Lo studio di questo strillo raggiunse i massimi livelli nel Giappone Feudale. Non corrisponde a un mero grido. Infatti, il kiai e il suo utilizzo rientrano in un ambito molto più vasto che è quello della respirazione. Parola d’origine nipponica, significa emettere un profondo e forte suono atto a costituire il desiderio di portare a termine una tecnica marziale. Un suono che crea. Kiai. Parola giapponese, composta da ki, mente, volontà e da ai, contrazione del verbo awaseru, che significa unire, congiungere. Ovvero una manifestazione dell’energia interna con un suono che plasma. Il kiai nelle pratiche marziali è d’importanza estrema. E’impiegato in molte discipline e non solo nel karate, come si è soliti immaginare, ma anche nel judo, nell’aikido, nel kendo, per arrivare alla scherma, ecc. Ha una valenza sia fisiologica, e quindi pragmatica, sia spirituale. Esprime anche un grido che rivela e manifesta quel principio orientale di unità e di armonia presente in ogni cosa. Dove l’individuo unisce la propria energia vitale a quella della natura attraverso l’espirazione provocata dalla forte contrazione addominale. La tradizione orientale fa risiedere la vitalità fisica nell’addome (tanden, ndr.). Si osserva, però, un diverso momento di espressione del kiai nelle diverse arti marziali. Ad esempio, nel kendo il kiai avviene prima e non all’atto finale come può essere nel karate. Questo perché? Perché l’uso di un’arma, la katana in questo caso, implica di per sé un risultato devastante che invece, a mani nude, può essere conseguito solo con il ricorso all’esasperazione fisica. Rimane comunque il fatto che l’emissione del kiai durante la tecnica o il combattimento porta il soggetto in uno stato mentale superiore. Il kiai parte dall’hara (punto situato a circa cinque centimetri di sotto all’ ombelico dove si concentra l’energia), il centro di contatto tra corpo e anima, in modo naturale, per poi salire verso la bocca. Il kiai può essere sprigionato in moltissime circostanze, come quando facciamo uno sforzo fisico, portiamo o subiamo una tecnica. L’importante è che parta dall’hara. La fuoriuscita del kiai differisce a seconda delle circostanze. ”Yah”, in questo caso il kiai è emesso a scopo estremamente difensivo. E’ un suono che parte stretto per poi ampliarsi e che cerca di contrastare l’avversario che porta all’attacco. Poi c’è “EI”, questo kiai invece è penetrante e diventa più stretto alla fine. Solitamente è caratteristico di un attacco invece “TOH”, di regola, è usato per portare uno tsuki (colpo di punta alla gola o al cuore) con la spada. E’ penetrante e di affondo. Infine, “IEI” è il kiai che esprime con maggior forza il ki (energia vitale e universale comune a tutti gli esseri viventi)poiché è ciclico, cioè rotondo. Parte molto stretto per avvolgere l’avversarioe per chiudersi attorno a luicome avviene in molte forme dell’aiki jujutsu. Nell’antichità, l’arte del kiai era, altresì, vista come un impiego della voce umana in combattimento. Con il duplice effetto d’intimorire il nemico e rafforzare il proprio spirito. Kiai era il nome dato generalmente a quello specifico metodo di combattimento basato sull’impiego del grido come arma. Nella pugna così come nella competizione sportiva, lo strillo è utilizzato per arrivare al bersaglio e simboleggia un colpo definitivo, cui partecipano corpo, spirito e cuore.Il kiai è impostato con esercizi e poi coltivato con attenzione finchè s’incanala spontaneamente nella forma che arricchisce l’azione marziale.

Nella foto, in alto: un rottweiler al verso di “kiai”…

Ma il “kiai” esiste, anche, nel mondo animale? Con ogni probabilità sì e forse, noi uomini, l’abbiamo “copiato”.

Nella foto, in basso: un gatto “in kiai”

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