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The King? No, il cattivo Presidente: la Repubblica americana e il paradosso della divisione

Nella foto, in alto: cartelloni esposti durante le proteste di ca. 7 milioni di statunitensi

In tempi recenti, milioni di cittadini statunitensi sono scesi in piazza, manifestando contro l’autoritarismo del Presidente Trump. Un fenomeno imponente, che meriterebbe analisi attente e rispettose. Eppure, sorprendentemente, molti osservatori hanno sentito il bisogno di utilizzare il termine “The King” per descrivere la deriva politica americana. Ora, lasciatemi essere chiari: cosa c’entra un re in una repubblica? Un titolo monarchico, con tutte le sue tradizioni e cerimonialità, viene qui prestato impropriamente a un Presidente eletto, come se l’istituzione stessa fosse incapace di proteggere la democrazia. In tutto il mondo, le monarchie, da quelle più simboliche a quelle più attive, raramente suscitano scandali per presunte derive autoritarie. È nelle repubbliche che i problemi reali emergono, quando la forma istituzionale non è sufficiente a contenere l’abuso di potere. Chiamare “King” Trump non è solo un errore linguistico, è una mistificazione studiata. Dietro questa strategia comunicativa c’è un chiaro intento: ridicolizzare, sminuire e teatralizzare la figura del Presidente, trasformandola in una caricatura. L’uso di termini monarchici serve a far apparire la minaccia meno concreta, più fantasiosa, invece di un problema reale e istituzionale. E qui si coglie un paradosso inquietante: le manifestazioni di massa, le proteste civili e le divisioni sociali che ne derivano non sono semplicemente un’espressione di dissenso; sono la conseguenza di un fallimento della forma repubblicana.

Nella foto, in alto: Proteste di questi giorni nelle vie della capitale Washington

La Repubblica, invece di unire e proteggere i cittadini, alimenta scontri quasi da guerra civile, contrapposizioni sociali e divisioni interne. La Monarchia costituzionale, al contrario, storicamente ha il potere di unire, fungere da garante super partes e proteggere le libertà senza generare fratture insanabili. Perché, dunque, i media non si accorgono di questa contraddizione? Alcuni sono superficiali, altri trovano conveniente trasformare il dissenso in spettacolo. Così il vero problema — l’inadeguatezza della forma repubblicana nel gestire personalità autoritarie — resta invisibile, mentre ci si concentra sulla teatralità di un titolo monarchico inesistente. Chiamare le cose col loro nome è essenziale: cattivo Presidente, non Re. E forse, di fronte alle fragilità della Repubblica, sarebbe il caso di riflettere seriamente sull’idea di una monarchia costituzionale, che garantirebbe un Re super partes, capace di tutelare la stabilità, proteggere le libertà e unire i cittadini, senza sostituirsi alla volontà popolare.

Thomas Luigi Mastroianni

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