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“Manoscritti Miniati in Italia dalla Biblioteca Ambrosiana. Il Trecento”. Una storia d’amore

La Biblioteca Ambrosiana di Milano apre i suoi scrigni mostrando al pubblico alcuni tra i suoi più preziosi tesori. Grazie all’esposizione “Manoscritti Miniati in Italia dalla Biblioteca Ambrosiana. Il Trecento”, curata da Milvia Bollati, Federico Gallo e Marco Petoletti. Fino al 15 novembre, infatti, sarà esposta nelle splendide sale della Biblioteca una rosa dei più bei manoscritti trecenteschi decorati provenienti dalla sua collezione di oltre 35.000 codici. 

La mostra ha una storia di cura e amore alle sue spalle. Nasce dalla pubblicazione di un testo, Manoscritti Miniati in Italia dalla Biblioteca Ambrosiana. Il Trecento, Roma, Viella, 2022, opera dei docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Milvia Bollati (Storia della Miniatura) e Marco Petoletti (Letteratura Latina Medievale). Questo testo, che vuole illustrare in modo quanto più ricco ed esaustivo le meraviglie di questa collezione, nasce a sua volta sull’impronta di un’altra storia. Quella di Renata Cipriani, emerita studiosa di Storia dell’Arte, prematuramente scomparsa nel 1963, che ha dedicato con impegno e passione il suo tempo allo studio e lo spoglio dei codici miniati della Biblioteca. Contribuendo alla realizzazione di quello che, ancora oggi, è noto come “Catalogo Cipriani”.

E ripercorrendo la storia a ritroso, ci si imbatterà in numerose vicende e in molte personalità che hanno dedicato la propria vita all’amore per i libri. Si incontra il cardinal Federico Borromeo, che nel XVII secolo ha voluto con tutte le sue forze la fondazione della Biblioteca e la costituzione delle sue collezioni di codici e stampe appartenenti alle più diverse culture. E, più indietro, più indietro ancora, si incontrano i copisti e i miniatori del XIV secolo che hanno dedicato la loro vita alla stesura e al confezionamento di questi beni culturali preziosi.

Ritorniamo al presente. Siamo ora pronti per inoltrarci tra le sale con uno sguardo diverso. Abbiamo il privilegio di apprezzare una ricca serie di manoscritti classici e liturgici, messali e martirologi, ma anche trattati musicali e filosofici. Esemplari di rara bellezza e talmente delicati e preziosi, che, di norma, riposano nel ventre della Biblioteca, affidati alle cure dei suoi custodi e degli studiosi. Adesso possiamo vedere oltre la loro estetica, che cattura e affascina. Possiamo vedere in una filigrana la precisione lenticolare di un miniatore. In una sbavatura di inchiostro, la fatica e l’impegno di un amanuense. In una rilegatura lussuosa, la passione di un collezionista. In ogni singolo volume, l’amore per la bellezza e per la cultura classica e coeva dei committenti.

Nella foto, in alto: C 96 inf. Seneca, Tragedie

Affacciandosi sulle vetrine degli espositori, si posa lo sguardo sul Seneca tragico (C 96 inf.), impreziosito intorno al 1385 da uno dei più famosi miniatori dell’epoca: Niccolò di Giacomo da Nascimbene. Noto anche come Giacomo da Bologna. Ed eccoci allora nella sua bottega, chino sul codice a visualizzare, con la sua consueta vivacità iconografica, scene delle tragedie senecane e a riportarle minuziosamente sulla pergamena. 

Tra i testi classici latini, però, richiama ora l’attenzione un altro codice unico, speciale, traboccante di figure bizzarre: il Collectanea rerum memorabilium di Solino (C 246 inf.). Lo dice il titolo stesso. Una raccolta delle cose più strane e meravigliose inerenti a popoli, usanze, animali e piante. Possiamo solo immaginare la meraviglia e lo stupore di chi ravvisava tra le carte del codice quelle curiose immagini di animali esotici o fantastici. Carte che sono quasi compendi di bestiari, tra uccelli dal piumaggio policromo e alci e buoi multiformi.

Ed ecco che un altro codice ha qualcosa da dirci. Un codice meno appariscente, meno estroso. Sicuramente, più discreto. Il ms. E 24 inf., che riporta la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Rappresentata nel capolettera del XXXV libro, dedicato all’arte antica, è l’immagine di un frate, intento al suo lavoro di miniatura. Ebbene, è molto di più una semplice immagine. È l’autoritratto del frate agostiano Pietro da Pavia, miniatore del codice. Intorno alla figura, infatti, all’interno dell’iniziale “M”, si svolge l’iscrizione con la firma dell’artista (Frater Petrus de Papia me fecit) e la data 1389. Grazie a questa testimonianza, possiamo fisicamente vedere, e non solo immaginare, la fatica e la dedizione dell’artista, che si esprime nello sguardo attento, nell’espressione del viso concentrata, nella postura del corpo di fronte al leggio, nella precisione e delicatezza con cui impugna lo strumento di lavoro. Nella volontà di questo professionista di lasciare una traccia di sé e della sua passione.

Degna di nota è anche la prestigiosa serie di messali, con le sue incantevoli iconografie religiose.  Campeggia a tutta pagina la Crocifissione del Messale ambrosiano E 18 inf. (immagine in copertina). Un’autentica opera d’arte. Miniata in una delle botteghe più attive nella Milano della fine del XIV secolo: la bottega dei Grassi. Probabilmente per mano di Salomone de’ Grassi, figlio di Giovannino. La maestosa crocifissione sormonta uno stemma d’oro a tre bande di nero, incollato sotto uno stemma precedentemente ritagliato. In quali mani sarà passato questo codice? Quali viaggi e quali avventure avrà vissuto? A chi sarà appartenuto? Segreti e misteri di cui ancora non abbiamo una risposta.

Nella foto, in alto: C 170 inf. Messale ambrosiano

Così, anche il Messale ambrosiano C 170 inf. ha una storia da raccontarci. Appartenne a Roberto Visconti, arciprete della Cattedrale di Milano. Era ancora in fase di realizzazione nel 1327, quando il cardinale lo volle annoverare tra i beni più preziosi del suo testamento. Questo dettaglio ci fa capire quanto pregevole e sontuoso deve essere questo codice. Opera del copista Giovanni da Legnano e di un esperto miniatore lombardo, passato alla storia proprio come Maestro del Messale di Roberto Visconti.

Che dire, poi, della collezione di trattati di musica raccolti nel ms. D 5 inf., testo decorato tanta perizia, finezza ed eleganza da essere, forse, destinata alla corte angioina di Napoli? O del De consolatione philosophiae di Boezio, vergato nel ms. D 40 inf., abbellito da un raffinato ornato a filigrana in oro e inchiostro, opera forse del calligrafo Gregorio da Genova? 

Ancora inoltrandoci tra i tesori esposti nelle vetrine, ci imbattiamo nel Martirologio e Regola di S. Benedetto del monastero di Morimondo (H 186 inf.). Oltre alle notevoli miniature di un maestro lombardo, come la Madonna con Bambino che troneggia nel capolettera della carta incipitaria del codice, un altro dettaglio rende questo testo speciale. Delle note obituarie, che segnalano la data di morte dei più importanti abati di Morimondo, riportate nel martirologio. Un particolare che ci fa riflettere su quante vite sono passate tra le mura di uno dei monasteri più importanti della Lombardia. Quanti personaggi illustri. E quanti umili monaci. Alle cui vite possiamo ritornare con la mente grazie a chi ha deciso di lasciare alla storia una traccia del passato.

Nella foto, in alto: H i86 inf. Martirologio di Morimondo

Questo e molto altro ci comunicano i manoscritti. Esteticamente ammalianti, fragili e delicati, racchiudono vicende di uomini e donne di tempi remoti. Ci parlano di successioni, contese, viaggi. Ma anche di passioni, ambizioni, speranze. Avventure e dedizioni. Sono molto più che oggetti. Sono vive fonti dell’umanità.

Si ringrazia la Veneranda Biblioteca Ambrosiana per la gentile concessione delle immagini.

Luana Vizzini

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