
Nella foto, in alto: il Teatro alla Scala di Milano
In un’epoca in cui l’indifferenza alla forma pare dilagare in ogni sfera del vivere civile, giunge come una nota armoniosa il recente annuncio del Teatro alla Scala: torna in vigore il dress code per il pubblico, riaffermando quella dignità estetica e morale che dovrebbe accompagnare ogni incontro con la bellezza. Sia chiaro: non si parla di imposizioni draconiane o di pretese mondane. Non si chiede l’abito da sera, né lo smoking con papillon nero. Si parla, piuttosto, di elementari segni di rispetto: niente canotte, pantaloncini corti o infradito. Una soglia minima di decoro — più ancora che d’eleganza — per onorare il luogo in cui si entra, l’opera che si contempla e il pubblico con cui si condivide la sala.

Nella foto, in alto: I cartelli che segnalano i divieti relativi al Dress Code
Il teatro, dopotutto, non è un luogo qualsiasi. È il tempio laico dell’anima, l’agorà dell’arte, il palcoscenico dove si manifesta l’ingegno umano nella sua forma più alta. Entrarvi in abiti indecorosi è come varcare le soglie di una cattedrale masticando rumorosamente una gomma da masticare. Non è questione di moda, ma di civiltà. C’è chi liquida il tema con sarcasmo, come se il vestire con cura fosse un relitto d’altri tempi. Eppure, proprio nel nostro tempo smarrito, la forma ha un compito fondamentale: ricondurre all’essenza. Vestirsi con sobrietà e misura per una serata a teatro non è un vezzo borghese, ma un atto etico. È dire con discrezione: “So dove sono, so cosa sto per vivere, e vi porto rispetto”.

Nella foto, in alto: ecco un esempio di buon Dress Code per il teatro.
Non si tratta di “giudicare” chi non ha un abito firmato. L’eleganza, quella vera, non è mai questione di censo. È, invece, cura, attenzione, consapevolezza. Un pantalone lungo, una camicia pulita, una scarpa chiusa: sono già, di per sé, segni di adesione alla bellezza del rito teatrale. Apprezzo, pertanto, la misura adottata dalla Scala, che affida il rispetto delle regole alle maschere — quelle vere, non quelle del disimpegno — invitando con buon senso a non oltrepassare la soglia del disordine. E avverto, con sobrietà, che chi non si conforma a tale norma minima potrà essere escluso dalla sala, senza rimborso del biglietto. Perché il rispetto, quando non nasce spontaneo, può e deve essere educato. In un tempo che confonde l’autenticità con la sciatteria, ricordare che l’abito non fa il monaco ma lo rivela, è già un gesto rivoluzionario. E se a riportarlo in auge è il teatro, luogo principe della forma e della sostanza, non possiamo che applaudire. In piedi. Con il cuore. E — perché no — anche in giacca e cravatta.
Thomas Luigi Mastroianni

