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Marco Folloni: tanti, tanti sassolini nelle scarpe…

Stavolta vogliamo farvi conoscere un personaggio insolito, uno dei più controversi del mondo del wrestling italiano. Ma che giornalisti saremmo se non intervistassimo proprio i personaggi come lui? Non è un wrestler ma è comunque un uomo combattivo. È un atleta ma ha fatto più che altro pallamano. Ha venduto moltissimi prodotti diversi, ma si è arenato sul wrestling. Proprio non gli è riuscito di venderlo, e di questo è rimasto molto amareggiato perché è uno sport che ha imparato ad amare. Conosciamolo meglio e scopriamo insieme cosa abbia da dirci.

Ciao, Marco! O forse dovrei chiamarti Follo, perché il mondo del wrestling ti conosce sotto questo diminutivo del tuo cognome, Folloni.

Vuoi raccontarci la tua vita dal principio, che si possa capire meglio il tuo background? Com’eri, da bambino, e in che tipo di ambiente sei vissuto?

Ho visto la luce in quel di Reggio Emilia, ma ho sempre vissuto a Rubiera! Paesi piccoli, gente semplice, schietta. Sono stato cresciuto a pane e don Camillo, idolo incontrastato di questi luoghi (Brescello è a pochi chilometri da qui) La prima cosa che mi è sempre stata insegnata è: “domani si lavora”. La mia famiglia è una di quelle tipiche emiliane di periferia, tradizioni contadine, dove si ammazzava il maiale e il parmigiano è il formaggio migliore al mondo. Ho passato l’infanzia con un nonno partigiano, un uomo di valore, uno dei miei primi eroi. Sono stato un bimbo felice, cresciuto coi valori di una volta. Ho imparato a lagnarmi poco, combattere molto per quello che avessi voluto ottenere e a chiedere piaceri solo se è strettamente necessario. Sognavo di fare l’avvocato per difendere i poveri e sconfiggere le ingiustizie. Tutti i bambini sognano di diventare dei supereroi, ma a Batman e Superman io preferivo degli eroi più accessibili, quelli con la toga invece che col mantello e la maschera. Ho un  fratello maggiore, Paolo, che per me è sempre stato molto più di un semplice fratello: per me era (e lo è tuttora) un vero angelo custode, sempre pronto a difendermi, sempre presente nel momento del bisogno.

E a scuola, com’eri?

I miei studi sono sempre stati problematici. Alle elementari andavo bene, tutto sommato, ma alle medie è stato un vero disastro. A causa del mio peso, del mio aspetto fisico sono stato spesso emarginato, al limite del bullismo, dai compagni. Infatti sono grande, grosso, e assomiglio più a Shrek che a Brad Pitt, ma questo vi sembra sufficiente per emarginare qualcuno? Non è che se uno non è bello debba essere anche cattivo! Ne ho sofferto molto, e i professori non sono mai intervenuti con troppa convinzione. Non ho un bel ricordo di loro, e nemmeno una buona opinione. Non brillavano per competenza e non mi hanno trasmesso un buon insegnamento, sia come qualità che come quantità. Forse non erano nemmeno troppo competenti. Un incubo. Alle superiori invece tutto è cambiato, e ho avuto la fortuna di incontrare due professori che mi hanno segnato in modo positivo, che avevano di me una buona opinione e questo ha rinvigorito la mia autostima. Mi hanno fatto crescere credendo in me stesso e nelle mie potenzialità. Sono stati davvero in gamba! Con loro mi sono trovato benissimo, e sono stati quelli che più di tutti gli altri hanno forgiato il mio carattere: l’avvocato Wainer Burani e il prof di psicologia Michele Moramarco.  Ho frequentato un IPSS, Istituto Professionale per i Servizi Sociali, il Don Zefirino Iodi, che ha diversi indirizzi di studio: tecnico gestione aziendale linguistica, tecnico servizi turistici, e tecnico servizi sociali. A ventitre anni avevo finito il triennio senza il minimo problema e giuro che vorrei menzionare la professoressa Luisa Galantino, una delle professoresse più stimate dal mondo giuslavorista europeo. Una donna incredibile.

E poi, hai proseguito gli studi?

Sono finito, così per scommessa, all’università. Mi sono specializzato in Pubblica Amministrazione, classe di laurea LS 71, equipollente a giurisprudenza. Mentre studiavo ho fatto volontariato per “Caramella Buona” una ONLUS per la lotta alla pedofilia, e grazie al presidente Roberto Mirabile ho potuto combattere attivamente contro il crimine più schifoso che possa esistere a questo mondo. Mi ha aperto gli occhi su quanta cattiveria sia insita in alcuni esseri umani, che la maggior parte di noi ignora. Il volontariato non è mai tempo perso e sarò sempre grato al dott. Mirabile di avermi dato questa esperienza sociale. Se poi qualcuno volesse approfondire la cosa vi invito a contattare questa organizzazione, trovate tutte le info al link http://www.caramellabuona.org In fondo basta poco per creare un mondo migliore!

E dopo l’università?

Ho messo da parte i sogni di fare l’avvocato perché mi sentivo in dovere di dare una mano alla mia famiglia. È andata così, che ci posso fare? Allora ho fatto il commerciale: ho venduto prodotti per compagnie telefoniche e canali televisivi. Collaboro tuttora con un’azienda specializzata nella vendita di tutti quei prodotti come luce, gas, internet, telefonia mobile, e assicurazioni auto. Ringrazio Andrea Casella e Sara Salvaterra, persone preziose che mi hanno aiutato ad evolvermi in questo lavoro. So vendere, mi piace vendere, e mi piace fare felici le persone offrendo loro dei prodotti validi, aiutarli a farli scegliere quelli più consoni a loro in mezzo ad una vasta gamma di offerte.

So che il tuo sport d’elezione è la pallamano. Quando hai iniziato a praticarla e cosa ha rappresentato per te?

Beh, da buon rubierese, la pallamano è sempre stata la mia passione. È lo sport che ha sempre riunito sotto un’unica bandiera l’intero paese, una passione condivisa da tutti. Un gioco diverso dal calcio: troppo commerciale, troppo mondano, troppo da gente di città. La pallamano per noi va bene: semplice e onesta. A pallamano ho giocato nella Rubierese, nel Castellarano e nel Carpi. Nella squadra della Rubierese sono partito come giocatore per diventare poi allenatore. In seguito sono diventato dirigente, ma anche commentatore e opinionista. La pallamano ce l’ho nel DNA, si vede, e rimarrà sempre nel mio cuore.

Il wrestling, nella tua vita, come e quando c’è arrivato?

 La prima volta che vidi un incontro fu a causa di un mio amico, “Sghe”, che mi portò a vedere New Years Revolution 2006. Fu amore a prima vista. Luci, colori, costumi, storyline, l’interazione col pubblico… ne sono rimasto affscinato, per non parlare di tutto il business che tutto questo comportava. Avevo già abbastanza esperienza come venditore per intravedere tutto un mondo dietro le quinte, che forse mi affascinava anche più di quello in bella mostra: per organizzare uno spettacolo del genere bisognava essere dei maghi del marketing! Nel 2012 dovevamo lanciare Radio Luna TV, una emittente on line.

Nella foto, in alto: Marco Folloni nella sede di Radio Luna Tv
Nella foto, in alto: Marco Folloni nella sede di Radio Luna Tv

Lì dentro ho fatto di tutto: presentatore, autore di programmi, ho curato la regia e la parte commerciale. Creavo i programmi insieme ai ragazzi dello staff, realizzavo il palinsesto, la scaletta, decidevo le puntate da mandare in onda… Tutto, insomma. L’unica cosa che non ho fatto è il tecnico, lì ci vogliono competenze di altro genere! Dato che dovevo creare dei programmi, naturalmente mi venne in mente il wrestling, e allora mi guardai intorno: c’erano delle realtà in Italia? E nella mia zona, c’era qualcuno? Sì che c’era! Contatta di qua, contatta di là, conobbi Jacopo Galvani che era ed è tuttora a capo della TCW. All’inizio mi sembrò una famiglia felice, l’ambiente mi piaceva. Finì che il coinvolgimento non si limitò alla radio, ma mi inserirono in una storyline: quella con Johnny Puttini, che sul ring era la mia nemesi ma nella vita reale una bella persona e un ottimo amico. Lì conobbi anche Paolo Giorgi e Roberto Amato. Come fu, come non fu, alla fine ci mettemmo insieme e fondammo, poche settimane più tardi, il polo TCW di Reggio, che un mese dopo diventò la WIVA. Non ho mai capito perché in quegli ambienti si finisca sempre per litigare, e nonostante mi dispiacesse molto lasciare la Tcw, la situazione, ormai, era diventata insostenibile. Dovevo decidere cosa fare: per me, per la radio, per le persone che condividevano le mie idee… Ho dato la priorità a chi poteva dare il meglio ai ragazzi piuttosto che ai sentimenti di amicizia: non era solo una faccenda personale ma c’era di mezzo il lavoro. In quel periodo fece capolino Cristian Panarari: prese in mano la neonata WIVA e si diede da fare in maniera significativa per la sua crescita.

E com’è andata? Hai avuto più soddisfazioni o più difficoltà e delusioni?

Gestire la federazione è stata come crescere un figlio, tante cose belle e buone, ma anche tante difficoltà e tante persone che mi hanno voltato le spalle proprio nel momento del bisogno. Che poi la federazione fosse simpatica o no, abbiamo avuto i nostri meriti: siamo stati i primi a portare vip sul ring, entrare nel comics, ad avere degli sponsor che ci hanno fornito mezzi, materiali e notorietà. Abbiamo avuto uno show su 20 canali televisivi, i nostri eventi sono stati trasmessi da una televisione libera sul digitale terrestre e altre cose interessanti… Ne ho, ne abbiamo fatti tanti, di sacrifici, e abbiamo dato tutti il massimo. Ma invece di ricevere dei ringraziamenti abbiamo ricevuto fango e sputi in faccia. Io vedevo la cosa sotto il lato imprenditoriale, volevo promuovere il wrestling come prodotto e mi sarei voluto occupare prevalentemente di quella parte del business. Invece erano tutti lì a pretendere di dirci cosa dovessimo o non dovessimo fare sul ring. Fatevi la vostra federazione, allora! Comandate lì, ma lasciate in pace chi vuol lavorare! Una battaglia continua tra le persone umili e volenterose,  che hanno dato il massimo (e vederle poi sul ring è stata una soddisfazione) da un lato, contrapposte dall’altro lato  a gente cattiva, amici falsi, che pretendevano tutto senza aver mai dato nulla. Cattiverie, malelingue, falsità e tentativi di abbindolare e manipolare lo staff. Qualcuno si è stufato e ha mollato, qualcun altro si è lasciato incantare dalle sirene, altri se ne sono andati semplicemente per fare altre cose… nel giugno del 2017 volevo chiudere…. Poi ci ho ripensato: col piffero che faccio morire la mia federazione, la mia creatura, senza lottare e combattere fino in fondo! Fortunatamente ho trovato tre persone che mi hanno dato il giusto stimolo per continuare! Persone vere, autentiche, come Jessica Magno, Matteo Fiorentini e Danilo Mariotti. Io, ci provo. Noi, ci proviamo. Come andrà a finire lo sa solo Dio, ma non molleremo.

Secondo te, cos’è che in questo sport non si è ancora capito?

Che chiunque abbia una federazione, se vuole che questa possa avere la concreta possibilità di sopravvivere, dovrebbe fare tre cose: Per primo puntare tutto sulla credibilità, nel senso di offrire un buon prodotto, gente professionale in grado di definire ogni minimo dettaglio dello spettacolo: luci, audio, costumi, gimmick, storyline, location, presentatori e tante altre piccole cose. Secondo: trovare sponsor convinti di un buon ritorno economico consequenziale alla spesa investita. Terzo, trovare spazi televisivi su canali via via sempre più importanti e puntare sempre in alto, a Mediaset o Rai.  Non si può passare mesi, anni, sprecare le nostre vite bisticciando per ogni cavolata come bambini dell’asilo invece di applicare strategie serie di marketing o di accontentare il solo proprio ego e dire di aver una cintura. Che volete che valga, una cintura, quando in questo Paese ci sono almeno una ventina di federazioni e ognuna ha almeno cinque cinture? Campione di cosa? Del tuo pollaio! Ma per favore! Come fa, una federazione provinciale con una manciata di tesserati, ad eleggere il “Campione Italiano”? È come se l’Udinese facesse una partita con i suoi giocatori, squadra A contro squadra B e dicesse poi che la squadra che ha vinto è campione d’Italia, gli assegnano lo scudetto, e all’ala sinistra il Pallone d’Oro. Ma scherziamo? Nessuno, qui in Italia, è “arrivato”. Saremo “arrivati” da qualche parte quando saremo su qualche rete Mediaset in prima serata! Quando parleranno del wrestling al telegiornale in termini positivi. Quando inseriranno i nostri show su internet alla voce “cosa fare stasera”. E per arrivare a questo, ripeto bisogna rivolgersi a professionisti di marketing, commerciali seri, cambiare format agli show, avere chi si occupa di pubbliche relazioni che abbia due marroni così, e soprattutto far allenare da persone competenti (magari facendo scambi con poli stranieri), atleti con un curriculum a livello internazionale con capacità e voglia di insegnare ai nostri ragazzi.

Hai detto che in questo ambiente si litiga in continuazione. Lo sappiamo tutti che è così, ma tu cosa ne pensi?

 Secondo me il guaio, questa litigiosità, è in buona parte dovuta al web. Si esiste solo quando si postano le foto del gatto, del cibo nel piatto, di tua sorella nuda e qualche insulto gratuito rivolto a chiunque ti stia antipatico. E se qualcuno commenta, non si crea mai un dialogo ma un litigio furibondo che termina solo quando qualcuno non banna qualcun altro, sempre che non ci scappi una querela. Ci sono pochi personaggi nel wrestling italiano che possiedano gli attributi necessari per un confronto faccia a faccia qualora nasca una polemica o del malumore, o qualcuno che abbia da dire contro un altro. Invece di fare una telefonata al diretto interessato, molti preferiscono postare qualche insulto (su sfondo di un bel colore, mi raccomando) senza nemmeno specificare a chi sia diretto. Se lo sai, bene. Se non lo sai, che cavolo lo leggi a fare? Se magari sei tu l’interessato e non l’hai nemmeno visto, parleranno alle tue spalle per sei mesi senza che tu nemmeno lo venga mai a sapere. Sembra che il web esista solo per mettere in giro voci, o comunicati nei social, solo per screditarti e insultarti. Senza possibilità di un contraddittorio, di una difesa, un chiarimento… solo voci e dissapori, il più delle volte senza mezzo fondo di verità: solo opinioni personali. Se la maggior parte delle cose che vengono scritte li potessero avere un contraddittorio diretto, un confronto faccia a faccia, beh direi che le cose si risolverebbero in cinque minuti, una stretta di mano, e poi un caffettino e via, amici come prima!

Voi, come WIVA, siete mai andati a cercare sponsor?

 Ma è la tendenza generale dell’Italia, purtroppo: qui vedono solo il calcio e nient’altro che il calcio. Per quello, tirano fuori anche dei bei soldi. Non ho problemi ad ammettere che per molti, tutto il wrestling made in Italy sia composto da una manica di buffoni, e alle volte devo dargli ragione. Ma se trovano degli sponsor trasmissioni come “Uomini e Donne”, o le telenovele, o i programmi più scadenti, qualche possibilità ce l’avremo pure noi. Se un’azienda non vuole sponsorizzarci, pazienza. Io non mi butto giù di sicuro e vado da quella dopo. Prima o poi, troveremo.

E il CONI, cosa potrebbe fare, invece?

 Il CONI dovrebbe creare una vera federazione, dare regole serie, fare da mediatore con le società. Soprattutto dovrebbe dare una mano alle società che fanno attività per i ragazzi, perché è un’attività sociale valida che toglie i giovani dalla strada insegnando i valori veri dello sport.

In conclusione, sei uno che col wrestling non c’entrava praticamente niente, ma ti eri messo in testa di creare un prodotto da passare poi in televisione, convinto che sarebbe piaciuto un po’ a tutti. Perché questo non è stato capito? Cosa hanno recepito, di tutto quello che hai fatto?

Come disse Socrate: “So di non sapere”. Io, con tutta l’umiltà possibile, ammetto senza difficoltà che di wrestling lottato non so nulla, anche se, dopo sette anni che sono in questo mondo, qualcosa avrò pure imparato. Ma so di marketing. So vendere. Vorrei, vendere! E il discorso base è: come si fa a far sì che la nostra passione diventi un lavoro? Con i soldi. E come si ricavano i soldi? Beh, il mondo del wrestling è una vera macchina da soldi, se sfruttata nella maniera migliore. E mi spiego meglio: show autoprodotti, show venduti, merchandising, cd o download degli show, le theme song personalizzate, creare personaggi che possano essere testimonial per le aziende. Nessuno ha ancora notato che ci sono spazi pubblicitari vendibili, ovunque: tutte le cinture hanno tre placche metalliche. Su quella centrale c’è il titolo e ci si può incidere il nome del vincitore. Su quelle due ai lati, non si potrebbe mettere il nome di uno sponsor? Gli attire, non potrebbero avere una giacca da togliere quando si è già sul ring con il logo di qualche sponsor sopra? Sulle fasce laterali del ring, sapete lo spazio per quanti sponsor c’è? I wrestlers, poi, sono ottimi atleti ma anche ottimi attori: si potrebbe avere all’interno della federazione una sorta di agenzia di spettacoli ed eventi per proporre i ragazzi in film, pubblicità ecc. Le accademie potrebbero diventare veri e propri franchising, e gestire strutture sportive. Con la notorietà delle tv maggiori! E bisogna realizzare un prodotto più adatto alle loro esigenze. Ma per arrivare alle maggiori devi sperimentare su quelle più vicine. Noi ci stiamo provando, cercando di creare un canale tv personalizzato.  Cosa hanno recepito di tutto quello che ho fatto? Che vuoi che abbiano recepito, quando non c’è un dialogo costruttivo ma solo insulti, critiche e fango gettato addosso? Qui ognuno si sbatte soltanto per il proprio ego! Perfino all’interno di ogni federazione c’è gente che rema contro e che si preoccupa solo di vincere incontri e cinture. Sono tutti convinti di essere i migliori, ma poi si scontrano con la realtà, perché se agli spettacoli ci sono solo amici e parenti… beh, ogni scarrafone è bello a mamma sua, ma solo a lei! Non c’è nessun altro, tra il pubblico.

In che modo sei stato trattato e tu come hai reagito?

Ho gente che mi vuole bene e capisce, alcuni invece mi odiano. Addirittura uno ha trovato il mio numero personale, mi ha telefonato dicendomi di sparire dal wrestling! Gli ho risposto chiedendogli chi gli avesse dato il mio numero, che avrei denunciato entrambi per violazione della privacy. Cuor di Leone mi ha bloccato. Signore, perdona loro perché, davvero, non sanno quello che fanno!  

Secondo te sarà mai possibile che tutti quelli dell’ambiente si riuniscano attorno ad un tavolo appianando le divergenze e tentare una collaborazione?

Risposta secca: NO! Anni fa, il KGB russo aveva fatto sapere ufficialmente tramite comunicato stampa che non avrebbe più voluto tra le sue fila agenti segreti e spie italiane, in quanto gli italiani: 1° non sono capaci di tenere un segreto. 2° Non sono capaci di collaborare tra loro per un fine comune. 3° Invece di collaborare cercano solo di primeggiare e far vedere che nessuno è più bravo di loro, a discapito degli incarichi a loro affidati. Hanno ragione. L’italiano medio è questo! Litigioso, irascibile, vendicativo, arrivista, arrogante e despotico. Andrà avanti così finché qualcuno, qualche riccone, deciderà di prendere in mano la cosa e trarne profitto, e allora prospererà e ingloberà tutti gli altri. Altre possibilità non ne vedo. Perché chi ha creato questa situazione gode a vedere morire tutti gli altri e chi prenderà il loro posto. Sono cresciuti così dopotutto.

Hai le idee chiare, Follo! Ma in mezzo a tutte queste brutture, riesci a regalarci qualche aneddoto, prima di lasciarci?

 Era lo show “La Giostra del Destino”: fui inserito in un match di quattro contro quattro a eliminazione. Entrai per eliminare l’ultimo atleta avversario e lo schienai con un piede sopra. Si trattava di Carlo Birra. Dopo il match andai subito da lui scusandomi… per avergli sporcato l’attire… mi sentivo in colpa. Sul ring dobbiamo sembrare tutti nemici acerrimi, e nella realtà ti dispiace anche avergli sporcato il costume!  E lui si fece una gran risata.

Follo, grazie per aver espresso il tuo punto di vista. Ti auguriamo tutto il bene possibile e che un giorno si possa tutti collaborare davvero.

Aspettiamo i vostri commenti!

                                                                                                                                                                    Erika Corvo

 

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