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Frank Basilico, General Manager e molto altro, una vita intera da raccontare. Prima puntata

Francesco Maria Tallevi, ringname Frank Basilico, l’ho conosciuto parecchio tempo addietro. Un personaggio pieno di luci ed ombre, ambivalente, dalle mille sfaccettature, amato e stimato dal pubblico. Ricordiamo con piacere e nostalgia le lunghe, intere notti passate in chat con lui in reciproche confidenze. Trovatosi ad una importante svolta di vita abbiamo avuto finalmente l’occasione giusta ed il piacere di intervistarlo e poter mostrare di lui anche il lato che sul ring non appare mai. Quando ci ha spedito il file con le risposte alle nostre domande – ventidue pagine – sulle prime abbiamo pensato di dover fare parecchi tagli per ridurre il tutto alle dimensioni di un consueto articolo dei nostri. Ma mano a mano che ci addentravamo nella lettura abbiamo capito che sarebbe stato un errore. Quello che ha scritto merita, e va pubblicato. Scorre, incanta, cattura l’attenzione, espone fatti, ricordi, idee e riflessioni su sé stesso e sul mondo delle tre corde che non ci sentiamo di tagliare. Ne è venuto fuori qualcosa a metà tra un’intervista e una biografia passando dall’Italia proletaria degli anni ’60 all’avvento della musica rock, al cambio generazionale, alla politica dei giorni nostri, ad eventi paranormali per finire con amare riflessioni sul futuro del wrestling. Cantante rock, vegano, lavoratore frustrato, attivista politico, ex maggiordomo ICW, successivamente General Manager TCW, attuale General Manager IWE… serve altro, per catturare la vostra attenzione?
Data la lunghezza del testo, vi proporremo questa “chicca” in due puntate… buona lettura!

Ciao, Frank! Raccontaci un po’ della tua vita. Com’è stata la tua infanzia, e perché ti facevi già notare in mezzo a tutti gli altri bambini?

Ciao a tutti i lettori, agli amici e ai fans di wrestling.
Mia madre faticò tanto per avermi. Trascorse mesi a letto. Tanto fece che alla fine mi partorì. Genova, 24 Luglio 1967. Ma sembrava proprio che io non avessi voglia di prendere residenza su questo pianeta. Dicono che venni al mondo con uno sguardo altezzoso: guardavo tutti, in sala parto, quasi stupito di vedere tutta quella gente… Non piangevo. Li guardavo tutti. Poi la pacca sul sedere come a tutti i bimbi, e da lì iniziai a capire che non sarebbe stato facile sopravvivere.

Le prime difficoltà di integrazione col resto del mondo si concretizzarono già all’asilo, quando gli altri bambini iniziarono a molestarmi. Uno mi versò anche del brodo addosso… apposta, voglio dire. Non riuscivo molto bene ad inserirmi, così iniziai ad isolarmi. Abitavo nel quartiere Quezzi, dove vivo tuttora. Un quartiere di periferia che già negli anni 60 era un luogo popoloso, proletario, pieno di immigrati del sud con tutti i problemi peculiari di quel periodo di certi quartieri di periferia, e nonostante fosse un quartiere sembrava un paese.

Nella foto, in alto: Frank da piccolo, bravo bambino
Nella foto, in alto: Frank da piccolo, bravo bambino

A dire il vero io ero un bravo bambino, magari timido, ma già molto egocentrico e con uno spiccato lato artistico. Mi piaceva recitare. La maestra delle elementari se ne accorse e mi motivò a sviluppare questo talento. Durante la pausa mi faceva fare delle scenette assieme ad un compagno (ora grande tenore) e ci accompagnava con voce e chitarra. Io mimavo, vedevo che i compagni si divertivano ed ero felice. Iniziai ad avere più fiducia in me e nel prossimo. Ero bravo davvero, per quanto si possa esserlo a quell’età. Ero un bambino un po’strano: mi piaceva (e mi piace tuttora) svegliarmi presto, uscire all’alba, annusare l’aria fresca di collina del Quezzi al mattino. Ascoltare il suono dei passi nel silenzio delle vie frequentate da gatti ed uccellini. A volte i gatti si mangiavano qualche uccellino e io ci rimanevo male… scoprivo la crudeltà del karma, del mondo…
Ero molto curioso e alquanto diffidente verso il prossimo; mai del tutto sicuro che mi si stesse raccontando la verità. Ponevo sempre domande, mettevo in dubbio ogni cosa, contestavo spesso quelle che consideravo ingiustizie, tanto che il prete, all’oratorio spesso mi chiamava “Pannella” Eh, ci aveva visto giusto! (rido)

Nella foto, in alto: Francesco chierichetto
Nella foto, in alto: Francesco chierichetto. (quello più a destra)

A quei tempi ero anche molto religioso ed entrai a far parte dei chierichetti, ligio e serio in quel compito. Preferivo servire le messe delle sette del mattino perché sentivo che a quell’ora vi erano le vere donnine fedeli, timorate di Dio: quelle che andavano lì per pregare davvero e non per dare bella mostra di sé, tutte impellicciate, alla messa delle undici. A quell’ora erano lì a servire i figli dei benestanti del quartiere, più per ostentazione che per fede, o di quegli opportunisti bravissimi a mettersi in luce per guadagnarne in immagine pubblica. Sappiate che essere chierichetto, in quegli anni era quasi prassi. Era la società che ci inseriva nei suoi ingranaggi. Poi si passava alla squadretta parrocchiale, o nei boy scout.

E l’idillio con la chiesa e preti, fin quando è durato?

Già alle medie iniziò a vacillare. Erano anni di ribellione … di cambi di mentalità generazionale. Fino ad allora avevo ascoltato musica tranquilla. Poi arrivarono i Rockets, Alberto Camerini, e iniziai ad essere un po’più eccentrico. Quando un amico mi fece ascoltare i Kiss, la mia vita prese una svolta.
Finite le medie mi ritrovai ad andare a scuola a Lavagna anzi…a San Salvatore di Cogorno, al villaggio del ragazzo. Tutti i giorni in treno, su e giù. Un’ora di viaggio solo all’andata. Mi iscrissi ad un corso di elettromeccanico. Né convinzione né passione: una scelta familiare a tavolino. Non riuscì mai a piacermi e tantomeno a entusiasmarmi, anche se sempre promosso.
Ma in treno iniziai a conoscere un mondo di persone diverse. Avevo la pezzetta dei Kiss cucita sul giubbotto, e quindi iniziai ad associarmi a rockettari, punk, i primi metallari, dark, skinheads. Naturalmente ci si scontrava con i paninari! (rido). Ma nonostante quello che pensava la gente, le conclusioni che io trassi, con la mia testa, voglio dire, è che alla fin fine erano tutti brave persone!
Quella scuola nell’entroterra ligure era frequentata da molti ragazzi di campagna e di paese. Io ero il cittadino, quello dello zoo di Brignole. Da segnare a dito, forse un bullo: da temere. Da tutti, anche dai prof! Una professoressa, in particolare, iniziò a prendermi di punta. Mi etichettava, faceva insinuazioni sul mio conto… Era la prof di religione. Un giorno mi chiese di leggere un brano dell’antico testamento. Forse per spiritosaggine, forse per innato senso recitativo, iniziai a leggerla interpretando i personaggi: una voce per Mosè, una per Dio, una narrante e così via. I compagni sembravano divertiti, ma lei si infuriò e segno sulla lavagna un 4.
Chi si intende di elettronica sa cosa sia un diodo e che in un diodo non ci sia nulla di spirituale… Io che studiavo elettromeccanica, in quei giorni li odiavo perché ci avevamo spesso a che fare… mi scappò di maledirne uno. Lei, rossa dal furore, disse che avevo bestemmiato e mi diede un 3 sul registro. A quel punto, giustamente indignato, levai il do finale dalla parola diodo. Aggiunsi l’imprecazione finora sottointesa e me ne andai spontaneamente dal preside. È stato da allora che smisi di frequentare parrocchie, e preti, e benpensanti, ed è iniziato il mio periodo ribelle. Iniziai a frequentare un popolo temibile e spaventoso: quello dei musicisti. (rido)

Nella foto, in alto: stravaganti amicizie musicali
Nella foto, in alto: stravaganti amicizie musicali (Frank è il primo a sinistra)

Così sei arrivato tramite loro alla musica?

Eh sì! Una volta, alcuni amici mi invitarono a sentire le loro prove. Ci andai, e dato che quel giorno non avevano nessuno come bassista, così, per gioco, presi in mano lo strumento… e gli rovinai la prova! Completamente fuori tempo, facevo le note a caso! Terribile! Però la cosa mi piacque da matti, e qualche tempo dopo arrivai a comprarmi un basso sperando di imparare… Ma niente da fare. Un giorno arrivò un mio amico, disperato, dicendo che stava formando un gruppo. Ma il loro cantante era un tossico che regolarmente non si presentava alle prove, così mi chiese se me la sentissi di sostituirlo. Ad una faccia di tolla come la mia, pensava, non sarebbe certo mancato il coraggio di esibirmi su un palco! Non accettai subito … pensavo di essere stonato. Ma sotto sotto dovetti ammettere che mi sarebbe piaciuto, e poi si diceva che i cantanti cuccassero di brutto! Massì, dai! Decisi di provarci. Ai ragazzi piacqui e mi presero. Ma mi è sempre rimasto il dubbio che la cosa si fece per levarmi dal mercato come bassista: per quanto stonassi con la voce, non avrei potuto farlo tanto come con quel basso in mano!

Che tipo di musica suonavate?

Heavy metal, hard rock… Proposi per la band il nome Halley: la cometa che in quei giorni transitava dalle parti del nostro sistema solare. Piaceva a tutti, e Halley fu. Dopo una settimana andammo alla nostra prima audizione, un concorso di band nell’entroterra ligure, a Casella. Era il 1 Maggio 1985. Capite che 32 anni fa era ancora un tabù vedere gente con borchie e giubbotti di pelle. Figurati ad un concorso di paese! Giunse il momento di salire sul palco, toccava a noi… Il pubblico era freddo, le band precedenti erano state molto brave ma molto pop… molto “normali”. Per rompere il ghiaccio, il presentatore mi chiese perché avessimo adottato quel look, ed io risposi che “con quel look ci andavo anche a dormire e a cagare”. E poi gridai forte “Ehi, Heavy metal kiiiiiiid!” Belin, scoppiò il finimondo! I pochi amici metallari presenti iniziarono ad agitarsi ed urlare. E bambini a piangere, e nonne bigotte di paese a segnarsi la croce con il rosario in mano… Che risate! Il nuovo Ozzy! Ma notai che due ragazzine mi guardavano con entusiasmo. Da allora non potei più fare a meno di attirare l’attenzione. Creare tutto quel delirio dalla cima di un palco poteva essere anche una buona cosa. Suonai con gli Halley ancora qualche anno, facemmo un sacco di concerti ed arrivammo a suonare fino a Gioiosa Ionica.
Poi se leggi il nome della band all’incontrario capirai perché iniziammo ad avere guai…e la band si sciolse. (In realtà questa fu la scusa, ma non ci sopportavamo più.)

Nella foto, in alto: Frank con i Silver Race
Nella foto, in alto: Frank (il primo a destra) con i Silver Race

Trovai altri amici ed entrai nei Silver Race, band con cui adottai il cantato in italiano ed ebbi ancor più riconoscimenti e soddisfazioni. Con questi avremmo potuto davvero concludere qualcosa di buono. Atteggiamenti poco professionali come saltare le prove o arrivare in ritardo agli show, ci fecero perdere il treno del successo. Chi mi conosce sa bene quanto la serietà e la professionalità mi stiano a cuore, ora come allora. Quando compresi che in quel modo non saremmo mai arrivati da nessuna parte lasciai il gruppo e cercai qualcosa di nuovo. Suonai ancora per qualche anno, qua e là.

Nello stesso periodo sei arrivato al wrestling?

Il wrestling lo conobbi anni prima. A dire il vero lo chiamavamo “catch”, era appena arrivato nella televisione negli anni ‘80 con la trasmissione di Tony Fusaro. Inoki e Tiger Mask i miei eroi, ma anche Jaki Sato e la bellissima Mimì Hagiwara, che ancora adesso è una donna bellissima. A quel tempo, la TV aveva solo quattro o cinque canali, non c’era la tv satellitare o il digitale terrestre e tutto ci giungeva per sentito dire. Internet era ancora nel mondo della fantascienza, i computer li aveva solo la Nasa ed erano grandi come stanze. Ci fu solo un episodio sporadico senza nessun seguito in cui mi cimentai, con amici, in un improvvisato incontro di Catch. Fu un pomeriggio, in un prato di Brignole con altri ragazzi metallari, all’epoca in cui si cominciava appena a chiamarlo “Wrestling” e conoscere gli atleti attuali. Figuratevi che pasticcio e che botte, quel pomeriggio! Sembravamo veri eroi! C’era lì un amico insegnante di arti marziali che ci diede qualche dritta, facendoci fare ukemi e capriole. Gli ukemi erano solo cadute, però che bello chiamarli “ukemi”, in giapponese. Sembrano più importanti! Anni prima da bambino avevo fatto judo e me la cavai. Ma tutto finì lì, nel giro di poche ore. Allora avevo la musica a cui pensare, e assorbiva tutto il mio tempo. A ripensarci adesso… se la cosa avesse avuto un seguito, trentadue anni fa, sarei stato tra i primi atleti italiani, nelle leva cresciuta in quel periodo. Peccato! (rido) Ci tengo a sottolineare che quelle cose sul prato furono molto rischiose. Non andrebbero fatte con gli amici, per strada. Per fortuna oggi ci sono tante palestre in cui andare a mettersi in gioco.

E come mai hai abbandonato la musica?

Nella foto, in alto: Giovane e bello, con la chioma alla Joey Tempest
Nella foto, in alto: Giovane e bello, con la chioma alla Joey Tempest

Bisogna dire che negli anni mi capitarono anche molte opportunità discografiche e molti riscontri positivi personali. Purtroppo, a noi spesso mancavano proprio quella serietà e quella professionalità di cui si parlava prima, e senza quelle, grandi cose non ne combini. Ma anche se ci fossero state? Devi avere un sacco di soldi, o una famiglia benestante che ti supporti, o essere disposto a fare la fame. Come in tanti altri posti, a Genova è dura portare avanti un progetto, o fare grandi passi: i locali in cui esibirsi sono pochi. I proprietari sono tirchi, molto più propensi a sfruttare i giovani musicisti, piuttosto che disposti a dar loro la giusta retribuzione. Molti locali sono sporchi, angusti, e se ci stai tu con la band non rimane che pochissimo posto per il pubblico… come fa, il locale, a fare cassetto? E come si fa a camparci, in questo modo? Mi ritrovai a fare i conti con le spese ed il bisogno di trovarmi un lavoro. Il buon Enrico Ruggeri me lo disse che con un lavoro avrei lentamente lasciato andare la mia passione. E così fu. Dopo l’ennesimo tentativo di tirare su una band con le palle, tutto finì mestamente. Il batterista non si vedeva mai alle prove ed io, col cuore spezzato, decisi di chiudere baracca e burattini.

Nella foto, in alto: capelli a zero e viso malinconico
Nella foto, in alto: capelli a zero e viso malinconico

Un periodo davvero difficile, per me, quello! Ero innamorato, ma dopo averci messo anima e cuore, dopo quattro anni l’amore finì miseramente. Senza amore e senza musica, andai in crisi e mi venne un forte esaurimento. Mi vedevo brutto, e più mi vedevo brutto più volevo esserlo. Un autolesionismo mascherato da protesta. Iniziai ad ingrassare, tagliai a zero i miei capelli che portavo lunghi e a boccoli, come Robert Plant o Joey Tempest. Non mi fidavo più di nessuno, odiavo tutti, volevo rimanere da solo con un grande odio nel cuore… Brutto, bruttissimo periodo! Ero in condizioni psicofisiche davvero instabili. In un giorno d’inverno scivolai sul ghiaccio, caddi a terra malamente. Fu in tutti i sensi il momento in cui toccai il fondo. Piagnucolando, iniziai in qualche modo a rialzarmi, e realizzai che se non mi fossi messo d’impegno a cambiare qualcosa, a rialzarmi da terra anche nello spirito, sarei finito male. Proprio in quei giorni litigai con dei ragazzini, in giardino, che mi tiravano le prugne sulla testa rischiando di sbagliare mira e far del male ai miei gatti. Una loro risposta villana mi face salire il sangue alla testa. Non potevo certo picchiarli, erano piccoli, ma iniziai ad inveire contro di loro in un monologo alla Ultimate Warrior… Incredibile, ma li raggelai tutti! Terrorizzati! Mia madre, dopo, mi disse che parevo uno del wrestling! … E lì si accese una luce nel mio cervello… (risata) La mia vecchia e dimenticata passione!
Erano settimane che dicevo che avrei voluto iniziare qualche attività sportiva, anche perché avevo forti dolori alla schiena e un po’di ginnastica mi avrebbe fatto bene… Ma da li a fare wrestling… Non ci avrei mai scommesso un euro!

E allora, hai cercato qualche scuola? Ce n’erano, vicino a casa tua?

Non pensavo nemmeno di poter trovare una soluzione a Genova. Cercai su internet e mi apparve un link. Belin, non ci credevo! A Genova, una scuola, c’era. Ed era anche molto vicina a casa mia. Ma ci pensai mille volte prima di riuscire anche solo a metterci piede. Pensavo che alla mia età, oramai dovesse essere impossibile, che fisicamente sarei stato non idoneo. Il mio inconscio riuscì a trovare il compromesso per riuscire a farmi varcare quella fatidica soglia: fin da bambino avevo avuto una forte simpatia per i manager, per gli accompagnatori degli atleti. Pensai che avrei potuto propormi in tal ruolo. Presi coraggio ed andai in quella benedetta palestra. La scena fu simpatica: entrai negli spogliatoi e mi presentai dicendo: “Ciao a tutti… serve un manager?” Rido ancora adesso, a pensarci! Era diverso da come immaginavo. Avevo pensato che dentro là avrei trovato grossi energumeni dall’aria truce, e invece incontrai dei simpatici ragazzi capitanati dal Dottor Dispiacere, un personaggio davvero sopra le righe. Era la scuola genovese dell’ICW. Lo ricordo come un bel periodo. Ci siamo affiatati molto, in breve tempo. Stavo bene, con loro. Per quanto non avessi un ruolo da atleta, era comunque d’obbligo assoluto allenarmi come chiunque di loro, soprattutto imparare a cadere per avere meno danni possibili dagli eventuali colpi che avrei potuto ricevere nelle varie storyline. È fondamentale che chiunque giri attorno a un ring o partecipi in qualche modo allo show abbia la conoscenza di base di questo sport: che sia arbitro, manager o finanche presentatore. La sicurezza è importantissima.

Nella foto, in alto: Frank nella gimmick del maggiordomo del Dottor Dispiacere
Nella foto, in alto: Frank nella gimmick del maggiordomo del Dottor Dispiacere

Girammo per il web una simpatica serie di video: “Un the con Dispiacere”, in cui recitavo la parte del maggiordomo del Dottore. Parlavo poco e annuivo molto. Poche settimane dopo il mio primo allenamento si aggiunse al nostro gruppo il mitico Daniele Raco, il famoso comico di Zelig. Una persona umile, simpatica e affabile. Ero presente al suo primo allenamento e vi assicuro che ha faticato tanto e non se l’è mai tirata. Ha sempre preso tutto con molta serietà, impegno, ed è diventato un ottimo lottatore.
Durante un evento a Genova, partecipai finalmente alla mia prima Battle Royal, ma sul ring durai due secondi… il primo eliminato!

(Dal diario di Frank Basilico: http://icwacademygenova.blogspot.it/2010/11/frank-basilico-episodio-primoincontra.html )

E seguendo i tortuosi sentieri della tua interiorità, ora come sei cambiato?

Da ragazzino ero molto timido e religioso. Con gli anni sono diventato molto più solido interiormente e mi sono fatto un idea tutta mia di religiosità. Non ho ancora imparato ad esser buono spiritualmente, molto aperto al prossimo, ma negli anni ho avuto modo di conoscere il Buddhismo. Pur non essendo un praticante, mi sono avvicinato molto e cerco di fare miei molti princìpi di questa filosofia …. Che del resto è proprio ciò che insegna a fare. Dopo vari tentennamenti, nel 1992 sono diventato definitivamente vegetariano. Ho preso determinate posizioni e sono diventato un fervido sostenitore della salvaguardia del pianeta, della natura, degli animali e di tutti gli esseri viventi. Sono anche attivista politico e sostenitore di un’idea di democrazia diretta e partecipativa.

Nella foto, in alto: essere vegetariano non significa non mangiare nulla!
Nella foto, in alto: essere vegetariano non significa non mangiare nulla!

Tutti pensano che un wrestler sia un omaccione brutto, cattivo e violento. Niente di più sbagliato! Si può benissimo salire sul ring ed essere un amante della natura, convinto vegetariano e professare dottrine di non violenza.
Ascolto meno hard rock rispetto a prima, ora preferisco la musica rilassante. Sono diventato più silenzioso, meditativo. Pensate che in un certo periodo mi piaceva passare i pomeriggi nei cimiteri. Pace, tranquillità, e un silenzio… di tomba! (rido) Con tutto il rispetto, mi piaceva girare tra i loculi e le sepolture a guardare le foto dei defunti. Mi piaceva fantasticare su quale tipo di vita potesse aver vissuto colui che ora risiedeva sottoterra. Chissà perché, sulle tombe si mettono sempre foto in cui il morto sorride! Uscendo, invece, notavo per contrasto di come i vivi avessero tutti quei volti seri, tirati… La conclusione logica era che sottoterra si stesse meglio! Col tempo ho sublimato tutto questo disagio interiore e sono diventato meno dark. Adesso mi piace passeggiare per i boschi, in compagnia di alberi, uccellini e scoiattoli, ascoltando lo stormire delle foglie e il canto del vento.

Come mai vivi ancora con i tuoi? E’ una scelta o semplicemente non c’è possibilità di lasciare il nido, coi tempi che corrono?

Un po’ entrambe le cose. Ho provato più volte ad allontanarmi. Ma sono ancora qui. Forse un bamboccione, come vorrebbe definirmi qualcuno che è stato ministro… Quella brutta persona che con i suoi decreti ha rovinato il futuro ai giovani per poi divertirsi pure a denigrarli. Oppure sarà che qui ho un bel giardino, per i miei gatti e per fare allenamento. Poi adoro il mio quartiere e non mi sposterei da qui. Sono diventato la bandiera di questo posto, nella mia attività politica. È ancora un bellissimo quartiere, anche se, come diceva la canzone di Celentano: “Là dove c’era l’erba ora c’è una città”…

Tra le tue mille attività, la musica ha sempre occupato un posto di rilievo e sei tuttora cantante in un gruppo musicale: cosa suonate, dove vi esibite e che successo siete riusciti ad ottenere?

Nel dicembre 2016 ho rivisto un amico, Alex Lanini, con cui anni addietro avevo un progetto comune. Non se ne fece mai nulla, ma non per questo ce ne dimenticammo. Anche se ora vive in Lombardia ed è molto difficile riuscire a vederci, un po’ per gioco, un po’ per portare avanti quello che avevamo sognato, ci siamo messi in testa di riuscire, finalmente, a mettere insieme una nuova band. Ci venne in mente di unire i nomi di un gruppo in cui avevo militato ed una in cui lui era stato membro. “Porno Race”. Stiamo avendo molte soddisfazioni. Viviamo in città differenti, ci si vede solo una volta al mese ed è impossibile che si riesca a suonare insieme dal vivo, così abbiamo deciso di fare un video per ogni canzone che componiamo e postarlo su Youtube. In canzoni come “il mostro” o “la fine” proponiamo messaggi di riflessione e per un mondo un po’migliore. A costo zero o quasi, siamo riusciti a creare delle situazioni divertenti con del pop rock cantato in italiano, oppure realizziamo cortometraggi simpatici. Spesso ci lasciamo trascinare dalle note e si finisce per suonare altri generi. In particolare ci attrae l’elettronica sperimentale. Quel che facciamo, per ora ci appaga, e al momento ci basta così.

Ma torniamo al wrestling: hai iniziato con la ICW. E poi?

Nella foto, in alto: Frank in atteggiamento affettuoso con la nostra Erika Corvo
Nella foto, in alto: Frank in atteggiamento affettuoso con la nostra Erika Corvo

Pochi giorni dopo la catastrofica Battle Royal, mi contattò un uomo di un’altra federazione, la TCW. Disse che se avessi voluto, avrei potuto andare a dare un occhiata al loro show. Erano sempre liguri, non troppo lontani da Genova. Quell’uomo era Violent Joe, che a tutt’oggi considero uno degli atleti italiani più validi in attività. Nella loro federazione militava anche il leggendario Bulldozer… Belin, due miti del wrestling italiano erano lì! Potevo conoscerli, avevo l’occasione di poter collaborare con loro! Accettai senza remore il loro invito. In TCW mi accolsero da subito con amore e simpatia, e a loro va tutto il mio rispetto ancor oggi. Inoltre, fu un bel salto di qualità: mi promossero a General Manager dell’intero roster e mi venne dato l’incarico di sondare la situazione in Liguria per cercare di formare nuove scuole. Ho fatto del mio meglio: sono riuscito a trovare il modo di aprire due scuole, Genova e Rapallo, e a seguire i primi passi della loro formazione. Questi due poli stanno dando ancora oggi degli ottimi frutti e si riuscì ad organizzare eventi memorabili, tra cui al palasport di Genova, e poi Zoagli, Rapallo e Borzonasca. Ho avuto l’onore di presentare ospiti stranieri di rilievo come Joe Legend e Kenzo Richard! Con la TCW ho trascorso quattro anni intensi e bellissimi in cui ho ricoperto i ruoli più impensati, preso parte a molte gag comiche col presidente Jacopo Galvani, con l’amico Daniele Raco, in arte Kombat Komedian, e l’arbitro Marinaro, altro mio grande amico nel mondo del wrestling. Ho avuto gioie, amarezze, esperienze belle ed altre bruttissime, che mi hanno molto segnato.

E dopo svariati anni, decidi di abbandonare il wrestling. Che cosa ti ha indotto a farlo? Era solo una pausa di riflessione o pensavi che fosse una scelta definitiva?

Avevo bisogno di una pausa, non solo di riflessione, e lo spiegai al direttivo. Avevo dei problemi fisici di sovrappeso e una grande voglia di rimettermi in gioco come persona. Il mio personaggio non mi piaceva più, sembrava Fantozzi, e sentivo il bisogno di distaccarmene. Tornare ad essere Francesco Maria Tallevi. Inoltre bisogna mettere in conto che la TCW è conosciuta per essere una delle federazioni con match più estremi, e io sono troppo emotivo per tutto questo. La vista del sangue mi angoscia e mi mette a disagio. Quando ti prende la paura, in questo sport spettacolo, non va bene. Meglio fermarsi e rivedere cosa non va, ritrovare il giusto spirito e la giusta motivazione. Passai il testimone al simpatico Frank Bonsai e mi feci da parte definitivamente. In seguito, la federazione mi propose delle possibilità di rientro, ma rifiutai con decisione: sentivo che era il momento di dare seriamente una svolta alla mia vita e volevo davvero dedicarmi ad altre passioni abbandonate da tempo.

Nella foto, in alto: il passaggio di testimone, con Frank Bonsai
Nella foto, in alto: il passaggio di testimone, con Frank Bonsai 

E come ci si trova a mollare tutto dall’oggi al domani?

Mah, sai…all’inizio ammetto per qualche mese me ne volli stare fuori dal giro e dedicarmi soltanto a me stesso. Mi posi come sfida di riprendere per quanto possibile un buon peso forma e cercare nel modo più assoluto di seguire uno stile di vita sano ed equilibrato nella nutrizione. Ho perso 18 kg e la panciona è diventata una bella tartaruga. Ho ricominciato a leggere un po’ di post sul wrestling italiano, ma visti da fuori non mi davano motivazione e non mi veniva voglia di tornare. Raggiunti i 50 anni, per di più, pensai che probabilmente non era più un mondo per me, anche se l’avevo sempre affrontato con genuinità e senso costruttivo. In ultimo, troppe tensioni intestine al mondo del wrestling italiano disperdono il tanto lavoro che atleti e federazioni fanno per tirare avanti nonostante i problemi di ogni genere, e ti fanno passare la fantasia.

Con questo ci diamo appuntamento a breve per la seconda parte dell’intervista, e vi assicuriamo che ce n’è per tutti! Stay tuned!

                                                                                                                                                               Erika Corvo

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